Fare rumore a tavola? In questi paesi è segno di buona educazione
Capita a tutti: si gusta uno spaghetto e qualcuno ci guarda male, si beve un brodo caldo e riecheggia la voce di mamma che ammonisce: “Non fare rumore, non è educato”. In molti siamo cresciuti con quest’idea: il buon commensale è quello che non si fa sentire.
Il silenzio a tavola, che nulla ha a che vedere con la vivacità dei pranzi di famiglia o delle tavolate del Sud, è ancora considerato, in gran parte d’Europa, segno di buona educazione. Ma ciò che qui viene associato alla cortesia, altrove può essere interpretato come freddezza o mancanza di partecipazione. Ci sono Paesi in cui mangiare in silenzio sarebbe quasi una mancanza di entusiasmo. Ecco alcuni esempi affascinanti.
Giappone
In Giappone, sorseggiare rumorosamente i ramen non solo è permesso, ma è un gesto di apprezzamento. Il rumore indica che il piatto è gradito e, tecnicamente, aiuta anche a raffreddare il brodo e a esaltare i profumi.
Lì, il suono delle tagliatelle aspirate è una sinfonia di piacere condiviso, un sottofondo armonioso in ogni ramen-ya. Mangiare in silenzio, invece, apparirebbe freddo o privo di entusiasmo.
Cina
In molte zone della Cina, i suoni del pasto, l’ultimo sorso di tè, il tintinnio delle bacchette e il mormorio del brodo fanno parte della convivialità. Non è maleducazione, ma partecipazione.
Mangiare con rumore significa vivere il cibo come un momento sociale: condividere la gioia di esserci e di mangiare insieme. Il silenzio totale, al contrario, può sembrare forzato, quasi un segno di distanza o di eccessiva formalità.
India
In India, mangiare è un’esperienza sensoriale totale. Le dita si mescolano al riso e al curry, i suoni e i gesti si fondono in un rito che coinvolge corpo e spirito.
Il tintinnio dei piatti d’acciaio, le voci intorno e il rumore dei cucchiai contribuiscono al piacere del pasto.
Perfino il tè ha il suo suono. Nelle bancarelle di strada, il chai servito in piccoli bicchieri di terracotta viene spesso gettato a terra dopo l’uso: il tonfo segna la fine della pausa, un gesto quotidiano e liberatorio. Ben diverso dal silenzio solenne con cui, a Londra, si sorseggia una tazza di tè.
Paesi arabi
In molti Paesi arabi, il silenzio a tavola è quasi imbarazzante. Mangiare è un atto collettivo, rumoroso e generoso: si parla, si ride, si invita l’altro a servirsi ancora. L’ospitalità risuona forte e chiara: il chiasso della tavola non è disordine, ma un segno di vita e di condivisione. È il suono stesso del convivio, la prova che il cibo sta svolgendo la sua funzione più antica: riunire le persone.
Quando anche il corpo parla
Non solo il rumore del cibo o dei bicchieri: in alcune culture, anche i suoni del corpo sono tollerati. Non esiste un Paese dove il rutto sia formalmente “educato”, ma in molte zone dell’Asia o del Medio Oriente non è considerato offensivo. In contesti dove il cibo rappresenta abbondanza e gratitudine, il corpo non è separato dal piacere di mangiare: un gesto naturale può essere interpretato come un segno sincero di soddisfazione.
Occidente: il fascino del silenzio
Il suono del cibo è un linguaggio universale, ma ogni cultura lo interpreta a modo suo. Dove qualcuno sente una mancanza di buone maniere, altri percepiscono una forma di gratitudine. In Giappone o in Cina, un sorso rumoroso è un “grazie” al cuoco; in Italia o in Spagna, lo stesso gesto susciterebbe sguardi scandalizzati.
Alla fine, non esiste un modo giusto o sbagliato di mangiare, ma infiniti linguaggi del gusto. Ogni tavola ha la sua voce, ogni cultura il suo ritmo. E voi, fino a che punto pensate che il silenzio a tavola sia davvero sinonimo di buona educazione?
Patricia González
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